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Renato Filippelli

Ugo Bortolin / Jbare ha dipinto il quadro di copertina per il volume di liriche PLENILUNIO NELLA PALUDE di Renato Filippelli, Edizioni Scientifiche Italiane.

Mario Rizzi

L'opera è una rielaborazione di una vecchia incisione raffigurante il Minturno ed è stata realizzata, insieme ad altri 15 ritratti a sanguigna, per illustrare il testo di MARIO RIZZI su ANTONIO SEBASTIANI MINTURNO e GIOVANNI ANDREA GESUALDO, Caramanica Editore. Essa è stata donata al COMUNE di MINTURNO.

I ritratti qui sopra riprodotti sono rifacimenti che illustrano il testo di MARIO RIZZI appena citato. Per ulteriori informazioni sull'autore e sulla sua opera clicca qui.

Gianni Aniello

Con il dipinto qui sopra è stata realizzata la copertina della raccolta di liriche CERCHI NELL'ACQUA di GIANNI ANIELLO.

Marina di Minturno
20/1/1997

 

Preg.mo DUCCIO TROMBADORI

Presso QUADRI & SCULTURE - ROMA PARIOLI

 

 

Egregio Direttore,

 

le scrivo perché, da quando leggo la sua rivista, condivido molte opinioni dei suoi editoriali.

Il panorama delle arti figurative è molto confuso e non tutti gli addetti ai lavori vogliono, riescono a mettere ordine o a indicarne la via. Senza dubbio questo secolo, che ormai volge al termine, è stato un secolo prodigioso. Ma pare che non lasci sicure indicazioni per quello che viene. Il ristagno del mercato dell'arte, al quale non è del tutto estraneo il notevole aumento del dilettantismo, sottolinea questo stato di cose. E questo stato di cose, se da un lato rende le problematiche più intriganti, dall'altro complica la situazione per molti operatori, fruitori e appassionati.

Vorrei considerare alcuni aspetti dell'arte in genere, non solo della pittura e della scultura. In Italia la poesia, da quando si è fatta sempre più "difficile", ha perso lettori, perciò i grandi editori non si azzardano a pubblicare nemmeno opere "leggibili" e, al tempo stesso, di ottima qualità. Il pubblico si è allontanato definitivamente dalla poesia (però ai tempi di Cardarelli le cose andavano in modo diverso).

Romanzi di non facile lettura, o che non fondino il linguaggio colto con un linguaggio accessibile, non vengono neanche scritti, perché non giungerebbero in tipografia.

In musica, per i concerti classici, si ricorre solo e sempre ad opere del passato. La musica cosiddetta leggera non ha un autentico carattere di avanguardia, benché, per fatti di moda e di mercato, e non d'intimo bisogno espressivo, si ammoderni di continuo.

Nel cinema vengono prodotti soprattutto film spettacolari o di grassa comicità, mentre film poetici, intensi, "artistici", non vengono realizzati oppure, se prodotti, non vengono distribuiti.

E nelle arti visive cosa succede?

 

Non stili, ma stilemi abusati e stucchevoli continuano a perpetuarsi, affidati a semplici, se non banali, interpretazioni semantiche; le forme, prive di contenuti, poco invitano alla riflessione, come se l'arte dovesse soltanto strofinare un po' la pelle, sollecitare indistinte evasioni dalla realtà, oppure riempire pareti per cultori snob, capaci di apprezzare ciò che un vasto pubblico non gradisce, o per cultori dalla bocca buona. Il rigore stilistico non sembra appartenere alle arti figurative, le quali, tra l'altro, presentano un sottobosco di strambe o indefinibili opere.

&nbs;

La storia dell'arte dei nostri ultimissimi tempi non è fatta dall'ARTE, ma dal fiuto commerciale di mercanti e galleristi, dall'ingenuità dei compratori e dalla scaltrezza degli operatori. L'artista, capace di operare sulla tela con costante originalità mediante i colori, nella materia mediante i consueti materiali plastici, senza cervellotiche soluzioni, è destinato a un lavoro appartato. La comunicazione poetica ed espressiva, in tale panorama, è destinata ad essere trascurata, se non a soccombere.

Qualcuno sostiene che il futuro dell'arte stia nell'utilizzazione delle moderne sofisticate tecnologie. L'uso delle moderne tecnologie non è da scartare, ma l'arte, con l'uso di nuovi supporti tecnici senza la priorità della riflessione, dell'estro e del sentimento, non può essere raggiunta. Se questo secolo è stato il secolo del cinema, io credo che, allo stato attuale, un bel dipinto possa vantare qualche rivalsa su molti film. Un film ha bisogno di un paio d'ore di visione, in genere; un bel quadro, una bella scultura hanno bisogno di alcuni secondi. Alcuni secondi per far recepire concetti, provare sensazioni, vedere immagini oltre quelle oggettivamente rappresentate. Col poco tempo che abbiamo oggi per "vivere" non è male.

È tempo di riprendersi dalla sbornia della ricerca pura, fine a se stessa, fatta al solo scopo di stupire. Leonardo non studiava i panneggi solamente per meglio dosare il "lume e l'ombra", ma per realizzarli nel modo più appropriato possibile nei suoi dipinti. Duchamp stette in crisi per venti anni: onestà intellettuale gl'impediva di replicare se stesso, una volta esauritasi la sua vena creativa. Magari le sue trovate lo avevano cacciato in un vicolo cieco. La frenesia del nuovo, l'eccesso di fermenti, senza dar maniera alla ricerca di sedimentarsi e di esplicarsi compiutamente, sembrano esprimere una volontà suicida. È questa un'arte effimera, talora sofistica nell'ideologia, che non vuole farsi recepire, non vuole farsi ricordare, non vuole svilupparsi, che ha in sè sostanze comburenti. La ricerca del bello non si ferma alla sola ricerca, tanto meno alla sola filosofia. Per arrivare al bello bisogna completarsi "nell'espressione". L'arte, a differenza di alcune branche della scienza, non può accontentarsi della sola teoria, perché ha la primaria necessità di riscontri oggettivi. In altre parole, la "teoria della Gioconda", senza la Gioconda, non sarebbe arte.

Un'arte che si appelli ai soli valori semantici sembra un'arte noiosa e svuotata di ampiezza di significati. La musica, che è arte astratta per antonomasia, spesso ha bisogno di vestirsi di parole - viene spiegata, a margine dello spartito, da Beethoven; in Vivaldi imita i suoni della natura -; ed è matematicamente rigorosa nelle sue strutture armoniche, nel contrappunto. Per contro, nelle arti figurative abbondano i senza titolo, del cui valore talvolta è meglio diffidare.

 

Con saluti e stima

Jbare

 

P.S.: Non vale niente quello che dice un artista? Balthus:

«1°. L'arte di oggi è troppo facile. 2°. Mi è sembrato che Picasso, a un certo punto della sua vita, volesse distruggere l'arte moderna».

La parola di Michelangelo faceva chiudere i cantieri (intorno alla cupola di Santa Maria del Fiore).

(Lettera pubblicata, nella parte riguardante espressamente le arti visive, sulla rivista sopra menzionata).

Giacomo Balla, grande "avanguardista" del Futurismo, nella fase matura della sua arte, sosteneva che la vera poesia in arte nasceva da partecipi adesioni alla realtà.

«Tecnica rappresentativa unica nel suo genere. La caratteristica principale, oltre all'impiego di colori decisi e nello stesso tempo sfumati, è la trasparenza e velatura delle immagini, che spinge l'osservatore ad effettuare una lettura stratificata, alla ricerca dei numerosi messaggi trasmessi».

 

Staff di ROBYTOUR

Della morte della pittura

Agosto 2009

 

Cosa faccio di questi quadri, delle tele che ho dipinto?

C' è una differenza molto netta tra il pensare e agire scientifico ed il pensare e agire artistico. Nella scienza una teoria, se supportata da dati incontestabili, o quanto meno ragionevoli, ha già raggiunto traguardi alti, significativi, irrinunciabili. Essa è utile, costituisce la solida base per gli sviluppi successivi degli studi, delle applicazioni tecniche. Invece in arte, il Trattato della pittura di Leonardo da Vinci non avrebbe sconvolto il mondo artistico, se non fosse stato necessaria-mente supportato dalle relative ed esplicative opere. In sostanza, la teoria artistica di Leonardo non è più importante del Cenacolo. In arte è il Cenacolo ad avere una importanza primaria, è lo sviluppo pratico della teoria ad avere più importanza della teoria stessa; senza tutta l'opera, senza tutta l'arte concreta di Leonardo il suo trattato avrebbe avuto importanza solo per gli "specialisti del settore". Nella scienza una teoria, nella sua ingegnosa combinazione di dati e di formule, è spesse volte, quasi sempre, prevalente sull' applicazione pratica.

E a che cosa serve la pittura?

Ha un vero senso pratico l'arte?

Non molti anni fa, un importante storico dell'arte, riprendendo teorie già concepite ma poco divulgate, ha sostenuto la tesi secondo cui l'arte, così come l'abbiamo sempre conosciuta, è morta. Anzi, con più precisione, la pittura è morta. Perché proprio la pittura?

(Certo, a quello storico dell'arte, incartato nei suoi dogmi valutativi, sono capitati due importanti infortuni – per la verità: tre - che avrebbero distrutto la carriera di qualsiasi altro studioso: l'attribuzione a Modigliani delle teste scultoree eseguite da alcuni giovani buontemponi livornesi, e la disistima della pittura di Giorgio De Chirico (nonché di Salvador Dalí). Sul terzo infortunio, meglio tacere).

La pittura è diventata superflua, secondo la metodologia investigativa di quello storico, perché l'arte si è sempre rinnovata soprattutto attraverso la tecnica, attraverso la lavorazione di nuo-vi materiali (nel nostro caso: cromatici). Ora l'uso delle tele, dei pennelli, dei colori pigmentosi è troppo antico. Già nella preistoria si usavano polveri, impasti colorati, pennelli posticci per dare forma alle figure: a uomini e animali, sulle pareti delle caverne. Magari il colore si stendeva anche con l'ausilio delle dita.

Passati dalle pareti delle caverne a quelle delle abitazioni, ma avendo continuato, più o meno, con le stesse modalità operative per secoli, si può ancora dipingere in quella maniera antica? Dalle rocce delle spelonche si era giunti pure alle superfici dei manufatti ceramici.

Sui muri sono state incollate brillanti tessere, di maiolica o di altri materiali, per fare i mosaici. Poi, all'inizio del Rinascimento, nelle Fiandre, qualcuno ha rilanciato e diffuso, con successo, la pittura ad olio (che era stata già inventata da vari secoli – di essa si parla addirittura nel mondo romano). Davvero, dopo l'invenzione della pittura ad acqua – la tempera - era molto tempo che non si adoperasse qualcosa di nuovo sul piano tecnico (i colori ad olio hanno il pregio di seccare lentamente, consentendo al pittore di sfumare le tinte con maggiore calma esecutiva).

Tuttavia: la vera novità pittorica del Rinascimento di sicuro non stava in questo espediente tecnico (confrontare Madonna Litta, tempera, con Monna Lisa - la Gioconda - olio), quanto nella voglia e nella capacità d' indagare la natura mediante le regole della prospettiva, cioè mediante la codificazione di un mezzo tecnico ideale ed espressivo più che materiale.

Nasceva, nella seconda metà del 1700, con Johann Joachim Winckelmann e Anton Raphael Mengs in testa, la critica artistica sistematica. Tuttavia, chi si occupava di arte avvertiva che in pit-tura già molto era stato ideato e detto; quasi tutto era stato già innovato e realizzato.

Ma io non dimentico che si approda alle rive dell'arte, quando si hanno novità di pensiero, di critica, e passioni insopprimibili e urgenti da esprimere, più che novità di materiali da plasmare, da combinare.

Ero ancora studente del secondo anno dell'Istituto d' Arte, quando, in estate, andato con i miei fratelli sulla spiaggia di Scauri a fare un bagno, in un momento di relax, sfogliando una co-pia del Messaggero, noto quotidiano romano, molto diffuso dalle mie parti, mi capitò sotto gli oc-chi un articolo della terza pagina, in cui veniva ricordato che già alla fine del 'settecento c'era chi sosteneva che la pittura era finita, non poteva più fornire opere interessanti.

Sennonché arrivò Francisco Goya che, sia sul piano classico, sia romantico, e pre-espressionistico, relegò queste opinioni in un cantuccio; ecco apparire moderne e sorprendenti opere pittoriche.

Chi, come me, ancora si attarda nella pittura, ancora fatica ad usare mezzi pratici che sono stati sfruttati per secoli, secondo i detrattori delle maniere tradizionali produce opere che sem-brano ruderi del passato, al massimo, deliziose o compassate composizioni citazionistiche; in tempi così efficientistici, tutti orientati verso l'utilità delle cose, verso il benessere fisico prima che spirituale, perché perdere tempo e salute a colorare tele? In fondo l'arte attuale la troviamo soltanto nella provocazione sfrenata, nella provvisorietà consacrata; lì sta il divertimento e il genio, da parte di chi produce, come da parte di chi fruisce.

Ricordo che anni fa insegnavo Educazione Artistica in una scuola media inferiore, in una se-de provvisoria, in attesa di trasferirci nel vecchio edificio in via di ristrutturazione. Quando, in-torno a Pasqua, staccammo dalle pareti delle aule i nostri lavori, i nostri fogli colorati, per trasferire tutto il materiale nella nuova-vecchia sede, un alunno, nemmeno tra quelli più bravi, facen-dosi interprete probabilmente degli umori di tutta la classe, esclamò:

- Prof, com'è brutta quest'aula adesso, senza i nostri disegni e senza le nostre pitture sul muro! (Come ci staremmo male adesso, qui dentro, se dovessimo restare ancora qui! - intendeva dire).

Tutto ciò che cosa sta a significare? Significa, che se siamo circondati da bei colori, da belle opere d' arte, noi viviamo meglio. È questo l'effetto pratico delle opere d' arte, a cui non conviene rinunciare!

¿Se una donna, impegnata nelle faccende domestiche (tuttora sono soltanto le donne che sbrigano queste faccende)... se una donna canta una canzone, ascolta la musica, mentre rifà i let-ti, lava, asciuga, stira, sistema le stoviglie, non vive meglio il suo lavoro, la sua vita? ¿Non è que-sta una ripercussione pratica molto utile, molto gradevole delle opere d' arte sulla nostra vita, a cui non è bene rinunciare?

Senza dire delle città d' arte che vivono di turismo. Come riuscirebbero a tirare avanti commercianti, artigiani, ristoratori, albergatori di Firenze, Venezia, Roma?, eccetera eccetera…

Allora?, continuiamo a produrre le nostre opere d' arte e cerchiamo di renderle conosciute, per tutti i motivi anzidetti?

 

¿Ma quali opere d' arte, opere di che tipo?

Marcel Duchamp arrivò a sostenere che non valeva la pena di riprodurre, in forma illusionistica, le immagini che s' intendono mostrare come opere d' arte; basta prendere gli oggetti reali e presentarli, appunto, come opere d' arte, a cui, doverosamente, sarà stata aggiunta una firma (una qualsiasi firma; vedasi La Porta).

Sulla base di questo concetto, se gli antichi facevano volare un cavallo nella finzione degli scritti o degli affreschi, i moderni appendono un asino vero ad un alto soffitto (in chiara allusione personalistica, e stando bene attenti ai bisogni corporali dell'animale, durante la visita). Oggi, la metafora di tipo illusionistico non ha diritto di esistenza. La metafora può essere espressa sol-tanto con l'esistente pronto-fatto (ready-made).

Queste nuove modalità operative valgono solo per la pittura, perché in altri campi come la poesia, la narrativa, ad esempio, si potrà benissimo continuare ad usare le parole stampate, la carta, i libri, come si è sempre fatto, senza che nessun brillante teorico si sognerà mai di dire che la poesia è morta. Invece il cinema, arte moderna, sarà valutato secondo i criteri di sempre (sic!). Magari qualche critico ostinato ci proverà con il romanzo, con buona pace di tanti lettori e tanti editori, a sostenere la fine di certe modalità tecnico-artistiche, senza minimamente preoccuparsi, che forse le apparizioni del nuovo stanno là dove lui non riesce a vederle.

Per una casa editrice pubblicare uno scrittore è relativamente semplice; quanto meno essa può verificare se l'autore conosce la grammatica e un minimo di stilistica. Verificare la padronanza del linguaggio visivo di un artista è diventato alquanto arduo, tenuto conto del fatto che quello iconico appare un codice in continuo divenire. Per giudicare la validità di un film si usa un criterio, per valutare una istallazione, un video, se ne usa un altro. Tra i due linguaggi visuali non si stabiliscono corrispondenze. Io, però, sarei d'accordo ad istallare sulle colline di Sepino efficienti pale eoliche, per produrre corrente elettrica. Lo spettacolo starebbe nell'incantarsi in valle ad ammirare le case medievali costruite sui resti murari romani e nell'ammirare queste utili corpose strutture sui colli, a significare la modernità viva (che si lega con l'antichità morta, a significare la storia che continua senza soluzione di continuità).

E le attuali Accademie di Belle Arti, a cui già da un pezzo avrebbero dovuto cambiare il nome in Accademie delle Arti Espressive o Visive, possono anche chiudere i battenti, per palese inutili-tà, per la mancanza di necessità d' insegnare il disegno, le tecniche pittoriche, eccetera. Tanto più che, quando c' è la necessità di valutare un problema estetico-culturale, di trovare una soluzione artistica, il parere viene chiesto sempre ai teorici, agli storici dell'arte, che non hanno mai preso una matita in mano, che non hanno mai sperimentato una tecnica artistica, anziché a chi opera in modo fattivo nel campo dell'espressione visuale. Mi viene da osservare, per contro, che nessun giornale serio affiderebbe mai la rubrica musicale ad un critico, che non fosse diplomato al conservatorio.

Qualcuno già starà pensando che io non sono d' accordo con nessuna novità teorica e concreta, con nessuna opinione in relazione a quello storico dell'arte, già evocato. Non è vero: sarei d' accordo che si conservasse l'architettura della centrale nucleare del Garigliano, che varrebbe co-me esempio costruttivo del tempo in cui fu edificata (ma la stanno già demolendo). È paradossale: spendiamo, vorremmo spendere, tanti soldi per fare archeologia, per ritrovare i manufatti dell'antico passato, e poi distruggiamo, con somma levità, i manufatti, di qualsiasi tipo, anche industriali, di un recente passato, non fornendo così memorie di noi alle generazioni del futuro. Quanti interessanti opifici, non del 'novecento, ma di fine 'ottocento sono stati demoliti? Di quante lavorazioni si è persa la traccia?

Fanno sensazione, si vogliono conservare, invece, molte opere, che in una lettera del 21 aprile 1992, inviatami da Federico Zeri, lo studioso bollava come INDEFINIBILI. Io aggiungo che si vogliono spacciare per opere d' arte molte semplici trovate, molte schiette, se non banali, ricerche semantiche. Peggio: idee capziose e sofistiche vengono contrabbandate per la migliore filosofia estetica. Ma, a trovare le trovate, i pubblicitari sono più bravi, più creativi degli stessi artisti. Io credo che, quando Leonardo andava in giro, per campi e colline, a disegnare fiori e paesaggi, lo facesse con intenti conoscitivi. Ma la sua ricerca non era già opera d' arte. Essa diventava vera opera d' arte, quando la roccia studiata, il fiore disegnato, venivano utilizzati, per fini di pregnanza creativa: nella Vergine Delle Rocce, per esempio. Oggi lo studio, il prodotto della ricerca iconica è già opera d' arte.

Il pubblico è spaesato, diffidente. Mentre affolla le mostre degli artisti del passato, i concerti dei musicisti già vagliati dalla storia, diserta la gran parte dei musei dell'arte contemporanea, decretandone talora la morte.

Simone Weil sosteneva che l'arte moderna, dalle figure deformate, è inespressiva, decaduta. Possiamo non essere d' accordo con Simone Weil: erano altri tempi, quando ella emetteva quelle critiche; tempi in cui il nuovo trovava difficoltà ad essere accettato. Ma nell'epoca odierna Jean Clair, insieme a diversi importanti studiosi, è arrivato a sostenere che l'arte contemporanea, quella che viene osannata con tranquillità di animo e di mente dalla critica dominante, è un disastro, è vuota, urtante. Marcel Duchamp, con i suoi spiritosi, apodittici (ma anche utili, benché non definitivi) criteri estetici, negli ultimi vent' anni della sua vita non ha creato niente di valido: chissà se avvertiva di essersi ficcato in un vicolo cieco! La lettura di una intervista rilasciata da Andy Warhol ci lascia abbastanza sconcertati, a causa della inutilità, banalità di alcuni concetti espressi. Invece: dalla lettura di una intervista rilasciata da Pablo Picasso se ne esce arricchiti.

Balthus manifestò l'impressione secondo cui Picasso, negli ultimi anni della sua vita, avrebbe voluto distruggere l'arte moderna. Ma gli orientamenti di Picasso non contano nulla. La parola di Michelangelo invece contava moltissimo; quando sfottette Baccio d' Agnolo, perché stava facendo la gabbia ai grilli intorno al tamburo di Santa Maria del Fiore, quest'ultimo, offeso, arrivò a sospendere i lavori, facendo un danno peggiore di quello che avrebbe compiuto, se avesse ultimato l' opera iniziata, lasciata a fare strana mostra di sé, strana mostra d' incompletezza.

 

Ugo Bortolin

Studio Jbare

Lo stato dell'Arte

Marina di Minturno
20/1/1997

 

Il panorama delle arti figurative è molto confuso e non tutti gli addetti ai lavori vogliono, riescono a mettere ordine in esso o a indicare una via percorribile. Senza dubbio questo secolo, che ormai volge al termine, è stato un secolo prodigioso. Ma pare che non lasci sicure indicazioni per quello che viene. Il ristagno del mercato dell'arte, al quale non è del tutto estraneo il notevole aumento del dilettantismo, sottolinea questo stato di cose. E questo stato di cose, se da un lato rende le problematiche più intriganti, dall'altro complica la situazione per molti operatori, fruitori e appassionati.

Vorrei considerare alcuni aspetti dell'arte in genere, non solo della pittura e della scultura. In Italia la poesia, da quando si è fatta sempre più "difficile", ha perso lettori, perciò i grandi editori non si azzardano a pubblicare nemmeno opere "leggibili" e, al tempo stesso, di ottima qualità. Il pubblico si è allontanato definitivamente dalla poesia (però ai tempi di Cardarelli le cose andavano in modo diverso).

Romanzi di non facile lettura, o che non fondino il linguaggio colto con un linguaggio accessibile, non vengono neanche scritti, perché non giungerebbero in tipografia.

In musica, per i concerti classici, si ricorre solo e sempre ad opere del passato, La musica cosiddetta leggera non ha un autentico carattere di avanguardia, benché, per fatti di moda e di mercato più che d'intimo bisogno espressivo, si ammoderni di continuo.

Nel cinema vengono prodotti soprattutto film spettacolari o di grassa comicità, mentre film poetici, intensi, "artistici", non vengono realizzati oppure, se prodotti, non vengono distribuiti.

E nelle arti visive cosa succede?

 

Non stili, ma stilemi abusati e stucchevoli continuano a perpetuarsi, affidati a semplici, se non banali, interpretazioni semantiche; le forme, prive di contenuti, poco invitano alla riflessione, come se l'arte dovesse soltanto strofinare un po' la pelle, sollecitare indistinte evasioni dalla realtà, effimere emozioni, oppure riempire pareti per cultori snob, capaci di apprezzare ciò che un vasto pubblico non gradisce, o per cultori dalla bocca buona. Il rigore stilistico non sembra appartenere alle arti figurative, le quali, tra l'altro, presentano un sottobosco di opere strambe o nebulose.

 

La storia dell'arte dei nostri ultimissimi tempi non è fatta dall'ARTE, ma dal fiuto commerciale di mercanti e galleristi, dall'ingenuità dei compratori e dalla scaltrezza degli operatori. L'artista, capace di operare sulla tela con costante originalità mediante i colori pigmentosi, nella materia mediante i consueti materiali plastici, senza cervellotiche soluzioni, è destinato a un lavoro appartato. La comunicazione poetica ed espressiva, in tale panorama, è destinata ad essere trascurata, se non a soccombere.

Qualcuno sostiene che il futuro dell’arte stia nell'utilizzazione delle moderne sofisticate tecnologie. L'uso delle moderne tecnologie non è da scartare, ma l'arte, con l'uso di nuovi supporti tecnici senza la priorità della riflessione, dell'estro e del sentimento, non può essere raggiunta. Se questo secolo è stato il secolo del cinema, io credo che, allo stato attuale, un bel dipinto possa vantare qualche rivalsa su molti film. Un film ha bisogno di un paio d'ore di visione, in genere; un bel quadro, una bella scultura hanno bisogno di alcuni secondi. Alcuni secondi per far recepire concetti, provare sensazioni, vedere immagini oltre quelle oggettivamente rappresentate. Col poco tempo che abbiamo oggi per "vivere" non è male.

È tempo di riprendersi dalla sbornia della ricerca pura, fine a se stessa, fatta al solo scopo di stupire. Leonardo non studiava i vari aspetti della natura o i panneggi degli abiti solamente per meglio dosare "il lume e l'ombra", ma per realizzarli nel modo più appropriato possibile nei suoi dipinti, secondo completi fini espressivi. Duchamp stette in crisi per venti anni: onestà intellettuale gl'impediva di replicare se stesso - o, meglio, di proporre gli oggetti già creati -, una volta esauritasi la sua vena provocatoria più che immaginativa. Magari le sue trovate lo avevano cacciato in un vicolo cieco, senza proprio alcun sbocco. La frenesia del nuovo, l'eccesso di fermenti, senza dar maniera alla ricerca di sedimentarsi e di esplicarsi compiutamente, sembrano esprimere una volontà suicida. È questa un'arte laconica o, all’opposto, talora sofistica nell'ideologia, che non vuole farsi recepire, non vuole farsi ricordare, non vuole svilupparsi, che possiede in sé sostanze comburenti. La ricerca del bello non può fermarsi alla sola e pura “ricerca”, tanto meno alla sola filosofia. Per arrivare al bello bisogna completarsi "nell' espressione". L'arte, a differenza di alcune branche della scienza, non si accontenta della sola teoria, perché ha la primaria necessità di riscontri oggettivi. In altre parole, la "teoria della Gioconda", senza la Gioconda, non sarebbe arte.

Un'arte che si appelli ai soli valori semantici sembra un'arte noiosa e svuotata di ampiezza di significati. La musica, che è arte astratta per antonomasia, spesso ha bisogno di vestirsi di parole - viene spiegata, a margine dello spartito, da Beethoven; in Vivaldi imita i suoni della natura; - ed è matematicamente rigorosa nelle sue strutture armoniche, nel contrappunto. Per contro, nelle arti figurative abbondano i senza titolo, del cui valore talvolta è meglio diffidare. Federico Zeri parlava di “immagini indefinibili” a proposito di certe presunte opere artistiche eseguite da autori a lui coevi.

 

Ugo Bortolin

Studio Jbare

 

P.S.: Non vale niente quello che dice un artista? Balthus:

«1°. L'arte di oggi è troppo facile. 2°. Mi è sembrato che Picasso, a un certo punto della sua vita, volesse distruggere l'arte moderna».

Un breve giudizio di Michelangelo fece interrompere il lavoro, chiudere il cantiere intorno alla cupola di Santa Maria del Fiore (la gabbia per grilli): di sicuro sbagliando.

 

Lettera pubblicata parzialmente sulla rivista d’arte QUADRI & SCULTURE NR° 24